L'agevolazione del Superbonus con cui sono ripartiti cantieri ed economia globale dopo un periodo
difficile dovuto alla pandemia sembra essere un'ottima cosa. Oltretutto
l'opportunità di avere edifici più efficienti energeticamente con
relativo grande beneficio per l'ambiente e il nostro (o meglio dei
nostri figli) futuro. Gli obiettivi che ogni volta vengono ratificati
dalle assemblee degli stati più potenti cominciano a sembrare più
vicini, anche se probabilmente è ormai troppo tardi (vedi i continui
cataclismi degli ultimi tempi)... ma questo è un altro discorso.
Pur
contento che sia ripartito il settore edilizio, motore della nostra
economia (anche grazie alla possibilità dello sconto in fattura), mi
rimane qualche perplessità sulle modalità con cui tutto ciò si sta
realizzando. In particolare il mio dubbio riguarda tutti questi bei
cappotti termici con cui stiamo coprendo i nostri edifici. Mi spiego
meglio con un paio di esempi.
Primo esempio: la terza pelle
Il
concetto parte dall'idea che le pareti esterne di un edificio vengono
considerate, con criteri di bioedilizia, la nostra terza pelle. La prima pelle, l'epidermide, consente al nostro corpo di respirare, espellendo le tossine attraverso i pori. La seconda pelle,
i nostri vestiti, quando realizzati in fibre naturali, permettono
ancora la traspirazione: avete mai provato a comprare invece una di
quelle camicie che vendono a 7 E alle bancarelle, fatte in fibre
sintetiche? Io si, per pura curiosità. Quando l'ho indossata ho
resistito pochi minuti, forse viziato dalle mie magliette e camicie
sempre 100% di cotone: ho cominciato a sudare e a sentirmi prudere la
pelle tanto che mi sono dovuto levare la camicia. Le pareti esterne
delle nostre abitazioni, la cosiddetta terza pelle, sono
altrettanto importanti: i nostri edifici devono respirare, e, per quanto
sembri strano, attraverso i materiali naturali come mattoni e intonaco,
respirano! La domanda che mi pongo quindi è: cosa succederà tra qualche
anno, quando ci accorgeremo che, dopo averle rivestite di materiali
isolanti, le nostre pareti saranno piene di muffa e noi respireremo
male, aumentando quella "sindrome da edificio malato" (Sick building syndrome) che tanto ci adoperiamo in bioedilizia per evitare?

Secondo esempio: gli infissi anni '70
Negli anni '70, in pieno austerity, la soluzione per risparmiare sui costi di riscaldamento fu realizzare finestre in alluminio, che chiudevano alla perfezione evitando così quegli spifferi così fastidiosi e antieconomici (raffreddavano l'aria) dei vecchi infissi in legno. Dopo 30 anni ci siamo accorti però che l'infisso a chiusura ermetica, non facendo girare aria e ostacolando quello spiffero che abbiamo capito essere "salutare", dava luogo a pareti piene di muffe e ambienti inabitabili, soprattutto quando (e ancora oggi succede) le famiglie per risparmiare sul riscaldamento evitano di aprire le finestre per non far entrare aria fredda... E così gli infissi moderni permettono la microventilazione, tramite un sistema di piccola apertura laterale che lascia qualche millimetro di passaggio all'aria, esattamente come i nostri vecchi e vituperati infissi di legno (per la serie "si stava meglio quando si stava peggio")...
In conclusione penso che bisogna fare molta attenzione a come "cappottiamo" i nostri edifici, soprattutto nell'uso di materiali non traspiranti (il 90% dei prodotti utilizzati) per non trovarci a respirare muffe tra qualche anno. Di questo si sono accorti anche i tecnici delle nostre alte sfere evidentemente, visto che negli ultimi decreti è stato inserito nell'agevolazione del Superbonus anche l'impianto di ventilazione meccanica controllata (VMC), che permette un continuo ricambio d'aria, anche senza aprire le finestre e con il vantaggio di non disperdere calore grazie alla presenza di scambiatori di calore tra aria in entrata e in uscita: un po' come la soluzione posticcia degli infissi che rimangono aperti... ma meglio di niente. Staremo a vedere.